Il banchetto RIASSUNTO

Riassunto video/audio Il banchetto di Platone#

Riassunto testuale Il banchetto di Platone#

In questo articolo vi presento il riassunto dell’opera intitolata Il banchetto.

Il “Banchetto” è un dialogo etico scritto da Platone tra gli anni 384 e 379 dell’antichità greca, nel periodo intermedio dell’attività del filosofo. Il titolo – in greco, Symposion – si riferisce a una pratica sociale e culturale, spesso adottata dai contemporanei illustri del filosofo.

L’usanza dell’epoca era che un certo numero di ateniesi dell’alta società si riunisse, la sera, nella casa di uno di loro, per cenare insieme, e, dopo una breve cerimonia religiosa, “darsi al bere” – in greco antico, syn-pinein, da cui anche il nome di symposion. È importante sottolineare che non si beveva in modo arbitrario, ma secondo un rituale preciso, o un protocollo stabilito dall’ospite, il capo del banchetto.

Questi fissava sia la quantità di vino da consumare, sia la sua gradazione, affinché si adattasse al tipo e alla qualità della festa e ai temi di conversazione scelti. L’unico e grande tema di discussione di questo particolare “Banchetto” è l’amore, affrontato nei discorsi dei personaggi dai punti di vista più vari, allo scopo di illuminarne la genesi, il fine, l’oggetto e la natura.

Nella conversazione che intrattengono – e che funge da introduzione a quest’opera – Glaucone chiede ad Apollodoro di raccontargli del famoso banchetto che ebbe luogo quindici anni prima, nella casa del poeta Agatone. Apollodoro risponde di non aver preso parte al banchetto, essendo all’epoca soltanto un bambino; tuttavia, può riferire parola per parola ciò che fu detto durante il simposio, poiché questo memorabile evento gli era stato raccontato tempo prima da Aristodemo, uno dei veri partecipanti.

E da quando aveva ascoltato il racconto di Aristodemo, Apollodoro aveva “interrogato su alcune delle cose dette lo stesso Socrate”, il quale gli aveva confermato che “le cose si svolsero proprio così”.

Apollodoro racconta poi come Socrate si fosse incontrato casualmente con Aristodemo per le strade dell’acropoli.

Il grande filosofo si stava dirigendo verso la casa del poeta Agatone, dove era stato invitato. In questa occasione, Socrate accetta la compagnia dell’altro e i due vanno insieme al banchetto.

Qui, Fedro dà l’impronta tematica del simposio: è sua l’idea di fare l’elogio di Eros, il dio dell’amore. Fedro inizia il suo discorso affermando che Eros è un grandissimo dio, innanzitutto perché è uno antico, nato nello stesso tempo della Terra (Gaia) dal Caos, e, in secondo luogo, perché reca agli uomini “i più grandi benefici”.

Nel suo commento al dialogo di Platone, Petru Creția osserva che si tratta di una “proposizione importante, che richiederebbe una dimostrazione di una certa ampiezza”; tuttavia, Fedro “si limita” a indicare come il più rilevante “vantaggio” che l’amore reca all’umanità quello dell’“istituzione di una relazione nella quale ciascuno dei due partecipanti cerca di mostrare ciò che è più nobile in lui”.

Così, l’amore suscita “la vergogna di compiere azioni turpi e l’aspirazione a compiere azioni belle”. Ma questa visione dell’amore presenta almeno un grande difetto: le “azioni grandi e belle” hanno un valore che dipende dalla reputazione agli occhi dell’altro e non da “una legge morale sovraordinata”.

Pausania, il relatore successivo, osserva ciò che sfugge a Fedro: il fatto che non tutti gli amori siano sublimi.

Per mostrare che i valori morali di tali legami differiscono molto, Pausania afferma che in realtà esistono due dei con lo stesso nome, Eros. Uno di essi è nato da Afrodite Celeste, l’altro da quella volgare. Come mostra anche il mito della dualità di questo dio, l’amore può essere o buono (cioè elevante, portatore di virtù), oppure cattivo (immorale, che ricerca solo il piacere).

Veniamo a sapere che dopo Pausania sarebbe toccato ad Aristofane parlare, ma questi, avendo abusato del vino, non riesce a far fronte al singhiozzo e, finché non si libera di questo impedimento, concede la precedenza a Erissimaco. Si è detto che l’episodio costituisca una lieve vendetta di Platone nei confronti del grande commediografo, il quale in una delle sue opere, intitolata Le Nuvole, aveva satirizzato Socrate.

Erissimaco precisa che Eros vive non solo nell’uomo, ma nell’intero cosmo. La dualità del dio Eros, di cui aveva parlato per primo Pausania, è qui approfondita in modo dotto: il medico vede l’amore come l’essenza di tutta la vita, l’elemento che la fa tendere verso l’armonia.

Rapportato alla medicina, l’amore è la riconciliazione dei principi della salute e della malattia. E nella natura, le forze del tempo, il caldo e il freddo, la secchezza e l’umidità, portano abbondanza solo quando si fondono bene tra loro, fusione che è vista anch’essa come un atto d’amore. Allo stesso modo, attraverso i rituali religiosi che compie, l’uomo vive in comunione con gli dei.

Nel frattempo, ad Aristofane passa il singhiozzo ed è ora il suo turno di parlare. Come osserva Petru Creția, l’elogio fatto da questo commediografo si rivela “degno del suo genio poetico e della sua fantasia”, il che dimostra che Platone è in realtà ben lontano dal vendicarsi di Aristofane per il modo in cui questi aveva trattato il maestro nella sua opera. Aristofane dà libero corso alla sua ricca immaginazione e concepisce il celebre mito dell’androgino.

L’origine di questo mito sembra trovarsi esclusivamente nella fantasia del grande drammaturgo, poiché non sono noti altri antecedenti culturali che lo attestino. I primi uomini, dice Aristofane, erano integri, indivisi, formati allo stesso tempo da parte maschile e femminile: avevano quattro braccia e quattro gambe, due volti che guardavano in direzioni opposte, due paia di orecchie e entrambi gli apparati genitali, maschile e femminile. Un tempo, dunque, gli uomini erano “sferici, integri e perfetti come astri”.

Essendo “autosufficienti e potenti come gli antichi giganti”, spinti da una fiera aggressività, gli androgini si opposero agli dei, ai quali non vedevano motivo di sottomettersi.

Per questo, tuttavia, i nostri “antenati” integri furono puniti. Per ordine di Zeus, Apollo taglia in due ogni androgino, sezionando l’intero, la “sfera” che eravamo prima, “lungo la sua linea di simmetria”. Ogni coppia che formava un tutto unico fu separata, e le metà, ora uomo e donna, furono disperse l’una dall’altra su tutta la superficie della terra.

Vulnerabili, condannati a cercarci di nuovo l’un l’altro, ci resta l’amore, che è il ricordo di questa unità perduta e la speranza della sua restaurazione. L’amore è lo sforzo di reintegrarci nella nostra natura primordiale. Ma ciò è possibile solo a condizione di onorare gli dei, rischiando, in caso di indegnità, di essere da essi tagliati in pezzi ancora più piccoli.

Dopo Aristofane, prende la parola Agatone, il padrone di casa. In un fervore poetico, egli loda le buone proprietà di Eros: la bellezza, l’eterna giovinezza; il dio dell’amore è delicato, “perché non cammina se non sulla morbidezza dei cuori più delicati”. Eros è il migliore, “avendo tutte le virtù canoniche: giustizia, coraggio, temperanza e sapienza; tutte le arti, quella poetica e, al tempo stesso, tutte le tecniche, nelle quali è stato maestro di tutti gli dei”.

Socrate, l’ultimo a fare l’elogio dell’amore, respinge tutti i discorsi precedenti sostenendo che sono solo “elogiativi, non veritieri”. Egli interroga con decisione Agatone, che non può che riconoscere la verità presentata da Socrate.

Attraverso le sue risposte, il poeta giunge a respingere molte delle affermazioni fatte in precedenza. Con la sua logica infallibile, Socrate depersonalizza Eros, affermando che l’amore non può in alcun modo essere un dio, ma un desiderio. Il desiderio implica una mancanza, poiché si può desiderare solo ciò che non si possiede. Socrate dimostra che l’oggetto necessario dell’amore è il bello, non potendo esistere amore per il brutto. Ne consegue che la bellezza è ciò che manca all’amore; in una parola, esso stesso non può essere bello. Poi Socrate identifica il bello con il bene, e Agatone è così costretto a riconoscere che l’amore non è né bello né buono.

Dopo il dialogo con Agatone, Socrate riferisce un altro dialogo che avrebbe avuto in gioventù con una sacerdotessa di nome Diotima. Questa aveva confutato la sua visione dell’amore, allora molto simile a quella di Agatone.

Nella concezione di Diotima (in realtà, dello stesso Socrate), l’amore è “un essere intermedio, un daimon, un mediatore tra gli uomini e gli dei”. L’amore è “la perenne aspirazione al successo”, e in questa sfera rientra anche “l’aspirazione alla verità”, caratteristica dei filosofi; la filo-sofia, per il suo stesso nome, essendo “amore della verità”, la più alta tra le forme d’amore.